Cantine Neoneli
A Neoneli non c’era mai stata una vera cantina. Qui nessuno aveva mai piantato la vigna con la prospettiva di produrre vino per venderlo.
Ascoltando Samuel, Salvatore e Marco si percepisce subito il desiderio di sperimentare che anima i tre soci di Cantine Neoneli.
La Sardegna non è solo un’isola: è un continente di storie, tradizioni e identità. Una terra aspra e meravigliosa, bagnata da mari cristallini e scolpita dal vento, che da secoli custodisce con fierezza la propria anima. I sardi hanno sempre difeso con orgoglio le loro radici, un patrimonio che vive nei dialetti, nei canti, nei costumi, ma soprattutto nei sapori.
È in questo contesto che grazie a un caro amico di San Pantaleo, ho scoperto un vino che fino a quel momento non avevo mai neanche sentito nominare: l’Omèstica, prodotto nella piccola Cantine di Neoneli, nell’Oristanese. Un nome che a molti non dirà nulla, perché questo vino non si trova ovunque, non cerca di farsi notare, non si piega alle logiche del mercato globale. È un vino sardo per i sardi, un segreto tramandato e custodito come una gemma preziosa
L’Omèstica è l’incredibile rosso di Cantine Neoneli. Assaggialo insieme agli altri incredibili vini della cantina.
Due ore di strade poco battute, di curve che si snodavano tra colline e vallate, di silenzi interrotti solo dal canto delle cicale. Un viaggio che sembrava quasi un rito di passaggio, come se quel vino non potesse essere raggiunto facilmente, ma solo meritato. La meta era Neoneli.
Otto anni fa tre amici hanno deciso di fare qualcosa di straordinario: salvare e far rivivere questi vigneti storici, unendo le proprie forze e fondando le Cantine di Neoneli. Non un’impresa dettata dal calcolo, ma un atto d’amore verso la loro terra e verso una tradizione che rischiava di disperdersi.
Perché “a Neoneli non c’era mai stata una vera cantina” — se non una cantina sociale. Qui nessuno aveva mai piantato la vigna con la prospettiva di produrre vino per venderlo. “Il vino era sempre stato cultura domestica”, rito comunitario, un patrimonio collettivo da tramandare.
Questo d’altronde non è un paese come gli altri. Su poco più di 600 abitanti, almeno 120 producono vino in casa. Una comunità che da sempre considera la vigna parte integrante della propria identità.
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La cantina nasce proprio con questo spirito: continuare una storia che non appartiene solo a tre soci, ma a un intero paese.
Nei locali di un vecchio pastificio riconvertito, oggi si respira la stessa passione che animava i nonni e i bisnonni di Neoneli. I loro vini non vogliono inseguire le mode, ma custodire la memoria di un territorio unico, rendendo omaggio a quella Sardegna che si mostra senza filtri, essenziale e vera.
Ascoltandoli si percepisce subito il desiderio di sperimentare che anima Samuel, Salvatore e Marco. Le 24 parcelle che compongono i 9 ettari vengono vinificate separatamente, un approccio che altrove sarebbe considerato pura follia. Nelle diverse vigne, infatti, convivono più di dieci varietà piantate tra loro, un mosaico che obbliga i tre soci a effettuare anche cinque o sei vendemmie distinte, aspettando con pazienza che ogni uva raggiunga la sua perfetta maturazione. Le vigne sono trattate in biologico, con la terra rivoltata soltanto dalla forza dei buoi e delle mani di questi uomini, in un rispetto quasi rituale verso la natura.
Andiamo a visitare alcune parcelle, perché le parole trasmettono tanto ma toccare con mano ha tutto un altro sapore. “Le vigne qui sono ospiti in queste foreste” ci dice Samuel. Il caldo torrido viene mitigato dal vento che soffia costantemente, e il suolo secco si sgretola tra le dita mentre queste vecchie vigne, con la loro forza silenziosa, lottano per sopravvivere. Una resistenza che racconta senza bisogno di voce l’intensità di questo luogo.
Ad accompagnarci c’è il giornalista Dario Cappelloni, la cui dialettica e passione per questa terra risultano inebrianti. Le sue parole sono come fili di Arianna, che ci conducono sempre più a fondo: e così, proprio come Alice, ci ritroviamo a scendere nella tana del bianconiglio, esplorando una realtà che si fa ogni passo più sorprendente.
Camminando tra i filari della Valle di Canales, si percepisce il senso di questo progetto:
non è soltanto la produzione di bottiglie pregiate, ma un viaggio iniziatico dentro una cultura agricola che ha saputo resistere alle sfide del tempo.
Una Sardegna che chiede rispetto e che restituisce, a chi sa ascoltarla, emozioni autentiche e indimenticabili.
È guidando tra i sentieri nascosti della macchia che circonda le vigne che siamo accompagnati in un vecchio stazzu, un rifugio di pietra che custodisce il sapore dell’ospitalità sarda. Lì, ad attenderci, un pranzo che era una vera e propria dichiarazione d’amore alla tradizione: porcetto arrosto, salumi di una prelibatezza unica, pane fragrante e vini che parlavano la lingua della terra.
Sotto i rami di ulivi secolari che ci circondavano, ci siamo seduti tutti intorno a un tavolo di legno: tre generazioni unite dallo stesso calice, osservando con curiosità ogni mia reazione, quasi a voler leggere nei miei occhi la sorpresa che ogni sorso mi trasmetteva. Era un tripudio di onestà, un momento sospeso in cui il vino diventava legame, e la lingua sarda — parlata senza riserve, come se fossi in grado di comprenderla — faceva da sottofondo musicale a una giornata indimenticabile.
Omèstica è un Cannonau che sembra nascere direttamente dalla roccia e dal vento della Valle di Canales. Nel calice sprigiona profumi intensi di frutti rossi maturi e di erbe della macchia mediterranea, con un soffio balsamico che richiama la freschezza delle colline di Neoneli. In bocca è avvolgente e vigoroso, ma mai pesante: i tannini accarezzano senza graffiare e lasciano spazio a un finale lungo e sincero. È un vino che racconta storie antiche con un linguaggio moderno, capace di emozionare e di restituire, sorso dopo sorso, la forza autentica della Sardegna più profonda.
È un vino sardo per i sardi, nato e cresciuto lontano dai riflettori, protetto quasi come una gemma nascosta. Assaggiarlo è stato come toccare l’anima più autentica della Sardegna: quella che non si vende, che non si traveste, che resta fedele a se stessa.
Melavaxia è un bianco che profuma di mattini silenziosi e di brezze che accarezzano le colline. Nato dal Nuragus, vitigno che qui viene chiamato col suo nome antico, cresce fra vecchie vigne ad alberello, su terreni granitici e colline tra i 450 e i 550 metri di altitudine. Al naso regala erbe di macchia mediterranea, fiori bianchi delicati, note agrumate sottili e un sentore fresco di mela. In bocca è generoso, morbido, con una persistenza che sorprende: non si piega al conformismo, ma rimane autentico, con quel filo di salinità e mineralità che ti fa capire che sei arrivato in un luogo vero, che non dimentica le sue radici.
Canales è il vino tipico di Neoneli. Un rosso che nasce dall’abbraccio di piccole vigne ad alberello, quasi nascoste tra le curve delle colline, dove ogni filare custodisce varietà antiche mescolate insieme. Al calice rivela un mosaico: frutti rossi maturi, erbe selvatiche, note balsamiche che salgono come profumo di terra dopo la pioggia. È corposo ma non invadente, potente ma capace di delicata eleganza: ogni sorso è un richiamo alla memoria, un ponte tra passato e presente, tra fatica, speranza e futuro. Canales non è solo vino: è l’anima di una comunità che ha imparato a coltivare sogni insieme alla vite.
La Sardegna ti concede i suoi segreti solo se sai ascoltarla. Cantine di Neoneli e i suoi vini sono uno di questi.
Ci sono viaggi che non si misurano in chilometri, ma in emozioni. Entrare nella Valle di Canales significa immergersi in una Sardegna che resiste, autentica e fiera. Qui la terra parla attraverso i vigneti, veri e propri custodi del tempo: filari di oltre 90 anni che affondano le radici in un suolo aspro e generoso, capace di donare vini che raccontano storie antiche.
Camminare in questa terra significa entrare in contatto con un popolo che richiede rispetto, che non svende la propria storia e che, al contrario, la protegge come un bene sacro.
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